“Le lavandaie della Notte”: cosa mi ha insegnato un dipinto per IVAR?
- Alice Zanivan
 - 2 giorni fa
 - Tempo di lettura: 5 min
 
Luglio. Caldo ma non afoso, anzi, piacevolmente ventilato. Stavo benissimo con il mio golfino all’uncinetto azzurro e i pantaloni leggeri: la mia situazione meteo preferita in assoluto.
Una situazione impossibile dove vivo io, nella pianura veneta a ridosso delle montagne, dove d’estate il caldo è diventato soffocante. Spesso la notte mi sveglio con la sensazione di star soffocando.
Ma non quella volta. In quei giorni di luglio mi trovavo a più di 1500 km da casa, lungo la costa bretone, in Francia.

Ero a Pont-Aven. Un luogo che, nel mio percorso universitario di storica dell'arte, ho studiato con un interesse enorme. Pont-Aven è una pietra miliare dell'arte contemporanea; un piccolo borgo medievale dove, dal 1860, iniziarono a radunarsi artisti incompresi che avrebbero cambiato la storia.
Parlo di pittori come Paul Gauguin, Emile Bernard, Armand Seguin e tanti altri, che si lasciarono incantare da questo borgo sulle rive del fiume Aven e dai suoi paesaggi commoventi. Immaginate la mia emozione nel ritrovarmi a Le Bois d’Amour, il "bosco dell'amore", uno dei luoghi più ritratti al mondo. Era impossibile non sentire la vibrazione unica di quel posto.
Ma sto divagando. Come immaginerete, non potevo saltare la visita al museo locale. È un po' come andare a Londra e non vedere Buckingham Palace. Così ho "mollato" mio marito a farsi una passeggiata lungo il porto (con suo grande sollievo - non è un amante delle mostre) e sono entrata in quello che si è rivelato un santuario inaspettato della stregoneria.
Mi aspettavo una mostra sulla Scuola di Pont-Aven, e invece mi sono ritrovata davanti a tutt'altro.

C'era una mostra temporanea, in collaborazione con il Musée D’Orsay e altri musei francesi, dedicata a come venivano viste le streghe tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento.
Ho la pelle d'oca anche ora, a tre mesi di distanza, mentre scrivo. Ho sentito un brivido lungo la schiena e ho varcato la porta dove campeggiava il celebre motto:
TREMATE. TREMATE.LE STREGHE SONO TORNATE.(TREMBLEZ. TREMBLEZ. LES SORCIÈRES SONT DE RETOUR.)
Improvvisamente, il mondo si è fatto opaco. Le finestre erano oscurate. Una musica lenta, a basso volume e inquietante si spargeva nell’aria. Luci soffuse illuminavano solo i quadri. E lì, all’ingresso, mi sono sentita impietrire.
Davanti a me, un quadro di grandi dimensioni mi ha sconvolta. C'erano delle poltroncine. Mi sono seduta, con gli occhi sbarrati, incapace di formulare un pensiero. Non avevo mai visto nulla di simile.
Mi piange il cuore non potervi mostrare quello che ho visto con la stessa intensità di un video registrato dalla mia memoria. La foto non rende purtroppo giustizia, ma farò del mio meglio per raccontarvelo.

Il pittore era Yan’ Dargent, un nome che non avevo mai sentito. Il quadro era una parete: 2,5 per 6,5 metri. Il soggetto, sconvolgente. Un paesaggio notturno, la luna luminosa che sorge dietro montagne brulle, la nebbia alle loro pendici. In primo piano, un uomo circondato da figure spettrali femminili che sembrano volerlo bloccare.
Ma non sono solo loro. La natura stessa gli impedisce la fuga: gli alberi morti si tendono verso di lui, assumendo forme antropomorfe spaventose.
E amici, da una foto non si vede... ma questi alberi erano incandescenti. Avevano occhi rossi e crepe nella corteccia da cui trapelava un rosso luminoso, sanguigno. (Dio mio, la pelle d'oca!)
Questo dipinto si intitola Les Lavandières de la nuit, le Lavandaie della Notte. Wikipedia dice in merito:
“Una lavandaia notturna o lavandaia della morte è un personaggio leggendario... incontrato di notte, mentre pulisce un panno in un ruscello o in un lavatoio. La lavandaia è sempre legata al regno della morte: secondo la tradizione, è foriera di morte, oppure è condannata a morte per espiare i suoi peccati passati... Molto presenti nel folklore irlandese e scozzese, queste lavandaie notturne si trovano anche in altre regioni d'Europa."
Questo dipinto rientra appieno in quel filone dell'orrore tipico di fine Ottocento. Pensate a Goya, ai suoi Sabba o al terribile "Saturno che divora i suoi figli".
Questo quadro mi ha veramente sconvolta. Era magnetico, non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso. Sono rimasta a osservarlo non so per quanto tempo, prima di costringermi ad alzarmi per vedere il resto della mostra.
Credo di poter affermare senza ombra di dubbio che questa è stata l'esposizione che in assoluto mi ha dato di più, in termini sia emotivi che artistici. Una volta tornata a casa, mi sono resa conto che quel mondo inquietante mi aveva segnata più a fondo di quel che pensavo.

Ho cominciato a riconsiderare come ho trattato il tema della magia e della stregoneria nel mio IVAR.
Prima di tutto, un avviso necessario: da qui in avanti parlerò di eventi legati sia al primo che al secondo volume (e un accenno al terzo). Se non li avete ancora letti, vi consiglio di fermarvi qui e recuperare prima i libri (potete trovarli nella mia Bottega).
Dicevo, la magia in IVAR è qualcosa di atipico, qualcosa che la popolazione malvede.
Nel secondo volume, Rogaland, Ivar ottiene la conoscenza della Blodrunar, una magia terrificante di mia invenzione che combina le rune e l'energia vitale del sangue. È un potere immenso, che permette di alterare il proprio corpo, ma spietato: il suo uso prosciuga lentamente la vita di chi è tanto sconsiderato da usarla.
Quando Ivar la ottiene, la usa accecato dall'odio, con conseguenze pesanti per il suo animo. Persino Asbjørn, l'antagonista, la usa solo se costretto, consapevole della sua pericolosità.
Dall'altro lato, Gudrun possiede il Galdr, una magia cantata "buona", legata all'acqua e usata per curare. Eppure, anche lei viene messa al bando e considerata malvagia, una strega.
Mi sono resa conto che, più o meno consapevolmente, ho rappresentato la magia nella mia saga come qualcosa di negativo, qualcosa che corrompe chi la usa, anche se le intenzioni sono buone.
Ed è strano, perché se la magia esistesse davvero, io farei carte false per poterla usare. Mi piacerebbe da morire saper leggere nella mente delle persone, carpire i loro pensieri e usarli a mio vantaggio.
Ops. Un momento. Mi sono fermata mentre scrivevo questa frase. Il potere di leggere e manipolare i pensieri è il seiðr. Ed è esattamente il potere che Asbjørn usa per annullare la volontà delle persone.
Significa forse che, sotto sotto, sono "cattiva" anch'io?
Chissà.
Tornando a un'analisi più seria, credo che quella mostra mi abbia folgorata perché ha dato un volto a qualcosa che stavo già esplorando: la magia non come un dono scintillante, ma come un potere inquietante, viscerale e pericoloso. Come il folklore bretone. Come le Lavandaie della Notte.
Questa consapevolezza mi ha fatto capire che posso spingere ancora di più su questo aspetto. E dato che NORDLAND, il terzo capitolo di IVAR, è in piena lavorazione, ho ancora margine di manovra per perfezionare e rendere la magia della saga ancora più indimenticabile.



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