8 maggio 2025
THUNDER RIDERS è un progetto a cui, sinceramente, non avrei mai immaginato di lavorare nella mia carriera da fumettista.
Il genere super sentai, pur avendo fatto parte della mia infanzia tra fumetti e serie TV, non è mai stato tra quelli che sognavo di esplorare artisticamente. Ho sempre immaginato di diventare un'autrice di fantasy, e infatti la mia opera d'esordio rientra in questo genere (se non conosci IVAR, rimedia subito cliccando qui!)
Eppure – mai dire mai, giusto? – ormai è da quasi un anno e mezzo che THUNDER RIDERS fa parte della mia quotidianità, e posso dire che mi ha fatto crescere tantissimo come artista. Di questo sono davvero grata.
Ne parlo anche in un video recente sul mio canale YouTube (se ve lo siete persi, potete recuperarlo cliccando qui).
Ma a chi devo dire grazie per aver avuto questa opportunità?
Il merito va a Edoardo Röhl, sceneggiatore di Terni – qui trovate la sua biografia completa. È lui l’autore della storia dei THUNDER RIDERS.
Ho pensato che sarebbe stato bello, e anche interessante, chiedergli di raccontarci com’è nata l’idea dietro a questo progetto. E lo ringrazio di cuore per aver trovato il tempo di scrivere questo articolo per il blog.
Quindi ora lascio a lui la parola.
Buona lettura!
COS’È THUNDER RIDERS?
Thunder Riders è una serie Super Sentai con tematiche mature. Potremmo definirlo un punto di incontro tra Mighty Morphin Power Rangers e It di Stephen King.
DI COSA PARLA THUNDER RIDERS?
Parla di Riley, Jimmy, Liberty e Curtis, quattro ragazzi che furono, in adolescenza, scelti da un essere semi-divino chiamato Xedern per diventare i difensori del bene e della giustizia. Dopo la morte di una loro compagna, Leela, decidono di riconsegnare i loro poteri, senza mai riuscire davvero a fare i conti con questa grave perdita.
Oggi, che sono adulti, i loro poteri tornano inspiegabilmente, costringendoli a riunirsi per capirne il motivo.
COME NASCE THUNDER RIDERS?
Questa è lunga.
Grazie a una serie di coincidenze. Mi piacevano i Power Rangers, da bambino, ma non a un livello tale da permettermi di definirla una passione. Durante una fiera del giocattolo vintage a Roma, partecipo a un gioco a premi e vinco una action figure del Black Ranger, il mio preferito di un tempo, un pupazzo brutto, mezzo rotto ed evidentemente incapace di competere con altri dell’epoca, come Tartarughe Ninja, Biker Mice da Marte o Batman.
A ogni modo, quel giocattolo sembra sviluppare una sorta di attrazione magnetica su mio figlio che, invece, inizia a preferirlo a molti altri. Questo mi porta a rivedere con lui la serie originale e, da lì, scopro un mondo: scopro che le serie Super Sentai (così sono chiamate le serie che adottano la formula “adolescenti in tutine colorate che guidano robot giganti”) sono oggetto di grande interesse per i ragazzi in ogni angolo del globo. Il solo franchise dei Power Rangers, nato con la serie del 1993, vanta la bellezza di 29 stagioni (con la trentesima attualmente in produzione) e 22 serie con temi e protagonisti diversi, un successo rinnovato ogni anno (anche in Italia, sia su Netflix che su reti private per ragazzi) che si traduce in numerose opere derivate e convention dedicate denominate Power Morphicon.
In Giappone, paese in cui questa formula è nata, queste serie sono infinite e rappresentano un caposaldo della cultura pop nipponica al pari dei Kaiju, dei manga e degli anime.
In soldoni, quello che era iniziato come un rewatch distaccato si trasforma in un interesse professionale, soprattutto in virtù del fatto che, mentre guardo quegli episodi, mi diverte notare come i protagonisti non siano mai messi innanzi a una vera e propria sfida. Affrontano minacce intergalattiche col sorriso, con la spensieratezza di ragazzini californiani più preoccupati dal compito di matematica che dalla potenziale distruzione del mondo. Mentre la guardo mi domando: cosa succederebbe se vivessero un forte trauma?
E, con quella domanda, qualcosa si mette in moto.
Arriviamo poi al giorno in cui viene annunciato da Netflix lo special televisivo Power Rangers: Once and Always, che promette di riportare sullo schermo il cast originale della prima serie.
Venendo dal succitato rewatch, sono molto interessato all’universo super sentai, tanto che ormai seguo su Instagram tutti gli attori del cast originale (o, almeno, quelli ancora in vita) e aspetto con grande curiosità questa Reunion. Poi lo special esce. E, senza mezzi termini, fa schifo.
Per più ragioni, a dire il vero ma, senz’altro, la cosa più fastidiosa è che non si tratta affatto di una Reunion. Anzi, del cast originale, figurano solo David Yost (Blue Ranger) e Walter Emmanuel Jones (Black Ranger), imbolsiti ed evidentemente incastrati in uno script piatto, privo di idee e svogliato.
A quel punto cerco di capire perché gli altri attori non abbiano preso parte al progetto e, tra chi ha pendenze con la giustizia (Austin St. John, Red Ranger) e chi, poco dopo, si sarebbe tolto la vita poiché vittima di depressione (Jason David Frank, Green Ranger), vengo colpito principalmente da un tweet di Amy Jo Johnson, l’originale Pink Ranger. Lei scrive, infatti: “non ho mai detto di no al progetto, ho detto no allo script che mi è stato sottoposto”.
Ed effettivamente vedo pochi motivi, per un attore che non sia solamente una vecchia gloria dimenticata disposta a tutto pur di tornare nel giro, di accettare un ruolo in un progetto dalle premesse drammaturgiche tanto deboli, e capisco perfettamente la posizione della Johnson alla luce di quanto realizzato poi.
Eppure non riesco a non chiedermi: che tipo di script l’avrebbe spinta ad accettare?
E inizio a scrivere.
CONCLUDENDO
Thunder Riders è di certo un tributo ai Power Rangers e a tutti i loro colleghi, ma vorrebbe anche tentare l’impresa di fondere il genere super sentai al romanzo di formazione e a un certo tipo di cinema drammatico. Non è sbagliato accostare gli accadimenti di Thunder Riders a quelli di pellicole come Il Grande Freddo o Compagni di Scuola, dove amici di un tempo si ritrovano per fare i conti col loro passato, con il loro essere cambiati o col loro essere rimasti gli stessi.
Ho scritto Thuder Riders con immensa delicatezza, forse è la prima volta in vita mia che lo faccio, e ho finito col provare grande affetto verso questi personaggi, un affetto diverso da quello che provo per altri creati da me in altri progetti.
Non maggiore, non minore, diverso.
E, alla fine di tutto, è davvero l’unica cosa che vorrei emergesse dalla lettura.
- Edoardo Röhl -
Image credits:
- logo Thunder Riders, Edoardo Röhl;
- foto di Edoardo Röhl, Facebook;
- "Power Rangers Mighty Morphin", internet;
- "Power Rangers Mighty Morphin", internet;
- "Power Rangers Mighty Morphin", internet;
- "Thunder Riders", tavola, Alice Zanivan.
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